giovedì 8 marzo 2012

Corporate communication & financial crisis



In un periodo difficile come quello che sta attraversando il nostro Paese in questi ultimi anni, un periodo dominato dalla crisi finanziaria e dall'instabilità politica, che ruolo gioca la comunicazione?
Possiamo ancora crederci?
E' una domanda importante per i comunicatori, lo è ancora di più per aziende ed istituzioni che si trovano a doversi interfacciare ogni giorno con una pluralità di figure diverse, dai dipendenti ai blogger, dagli investitori ai sindacati...
Possiamo dire che la comunicazione si è in parte indebolita a causa della congiuntura economica, soprattutto a causa della riduzione dei budget, dei numerosi tagli. D'altro canto la necessità di comunicare si è fatta più imperante, così come la necessità di controllare i flussi comunicativi e salvaguardare la propria reputazione (corporate reputation).
A questo proposito l'intervento di Francesco Orlando (link al video), Managing partner di Fair Play, sul binomio comunicazione-crisi, ci aiuta a comprendere l'importanza di comunicare ora: "...la comunicazione consente di differenziare in questo momento di overcapacity produttiva, la propria proposta, il proprio prodotto, il proprio servizio". La comunicazione resta un asset strategico imprescindibile per l'azienda e comunicare ora, "osare", come sostiene Orlando, permette di raggiungere una maggiore visibilità.
Cosa è cambiato allora nella sostanza? Per capirlo rimandiamo ad un intervento di Paul Argenti, professore di Corporate Communication della Tuck School of Business di Dartmouth, del 2009.



Il professore parla già di crisi economica spiegando le analisi compiute su diverse aziende americane e sulla loro comunicazione in tempo di crisi. Ciò che emerge è la centralità della reputazione aziendale, un driver fondamentale per salvaguardare il business dai frequenti contraccolpi del mercato. Una reputazione che si fonda su una comunicazione trasparente: l'azienda deve saper dire la verità perché qualsiasi bugia in ogni momento potrebbe essere smascherata. Aziende che sono quindi sempre più sotto la luce dei riflettori e che per riuscire in tempi d'emergenza, devono sapersi giocare la faccia, cogliere le opportunità, ma farlo nel modo più pulito possibile. Nel 2012 dopo le vicende che hanno toccato il Paese queste parole sembrano ancora più vere e il concetto di reputazione si lega anche ad un altro termine fondamentale: l'etica professionale. 
Etica che coinvolge i comunicatori ma ancor più le aziende e il management che deve imparare a sue spese il peso non più trascurabile della reputazione sul mercato.
Argenti parla non a caso di "value" e "values": l'azienda deve maneggiare con cura e meticolosità il proprio capitale finanziario (value), ma deve anche saper coltivare le proprie risorse immateriali partendo dalle persone fino ai cosiddetti intangibili (values).
Puntare sulla comunicazione diventa allora strategico se l'azienda è consapevole delle proprie azioni, dei rischi, se è in grado di prendersi le proprie responsabilità e capace di stare al gioco.
Cosa vuol dire fare comunicazione oggi?
Rispondo con le parole di Ettore Bernabei, storico giornalista e presidente Rai:  "Fare comunicazione è un privilegio che ha i suoi obblighi e i suoi impegni. Obbligo di serietà intellettuale e impegno continuo (...). Ogni nostra azione ha un effetto, e ogni comunicatore deve prendersi la responsabilità delle proprie azioni" (Intervista a Ettore Bernabei).  

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