venerdì 30 novembre 2012

Stories & reality: frammenti di una lettura



"A molti scrittori in erba mancava una cosa fondamentale: l'esperienza di vita. Credere che si possa scrivere prima e vivere dopo è un'idea sbagliata, tipica della nostra epoca postmoderna. Molti giovani, però, volevano diventare scrittori soprattutto perché volevano vivere da scrittori.
E' come mettere il carro davanti ai buoi. Prima si vive e dopo, casomai, si valuta se si ha qualcosa da raccontare, è la vita stessa a deciderlo. Scrivere è il prodotto della vita. Non è la vita a essere il prodotto della scrittura". ("Il venditore di storie" di Jostein Gaarder)

Spesso scelgo i libri a partire dal titolo. Lo so, è un'abitudine sbagliata perché si rischia di perdere per strada opere interessanti con un titolo poco appealing. Mai letto "Una vita" di Svevo? In questo caso ammetto di averlo letto per obbligo (scolastico) e mi è piaciuto molto. Quindi, non sempre il titolo dice tutto. Però, credo che saper sintetizzare il proprio racconto in poche parole, racchiuderlo in un titolo in qualche modo rilevante, sia un'arte, un qualcosa in più. Non parlo solo di logica di marketing, parlo proprio della bellezza dello scrivere, sì, direi proprio, dell'arte dello scrivere.
Ma veniamo al punto. Quando ho letto il titolo di questo libro "Il venditore di storie", sono rimasta affascinata e l'ho immediatamente rapito dallo scaffale di libri della biblioteca. Si tratta di un romanzo che parla di storie e del confine fra realtà e tutto ciò che non è reale e che potremmo definire fantasia, immaginazione sino ad arrivare a termini più negativi come bugia, falsità.
Non voglio svelare la trama, perché sarebbe un peccato per quelli che non l'avessero ancora letto, ma mi piacerebbe riflettere su questo binomio realtà-non realtà: sino a dove possiamo spingerci con una storia? Quali sono i confini fra verità e bugia?


Magritte nei suoi quadri esprime bene questa contraddizione, questo scambio di ruoli fra realtà e immaginazione. Vorrei che per un attimo ci fermassimo a pensare a questo e alla potenza delle storie all'interno della società. Parlo spesso di storytelling, dell'arte della narrazione e mi sembrava lecito pormi questo quesito. Perché una cosa è un romanzo storico, altra è un thriller, altra ancora è un discorso politico e ancora diverso è uno spot istituzionale di un'impresa. Ma sono tutte delle forme di narrazione, con contenuti e modalità diverse, ma parliamo di narrazioni.
Se la differenza fra un articolo di cronaca e un romanzo fantasy è piuttosto lampante, nel campo del reale, come può essere una campagna elettorale (vedi le primarie e il dibattito Renzi-Bersani) o una campagna di comunicazione di un'azienda, le storie si confondono e non è facile distinguere fra realtà e bugia. L'overload informativo, il moltiplicarsi delle voci, ma anche la facilità con cui si tende a parlare per ideali, sfuggendo dalla concretezza sono degli ostacoli non da poco: lo sperimentiamo nel mondo politico ma non solo. Creare forme di narrazione intorno ad un'impresa, richiede capacità di scindere realtà da non realtà, richiede la capacità di essere concreti... Non parlo della concretezza in sé e per sé, non è necessario prescindere da contesti più astratti, ma è necessario essere fedeli all'essenza dell'impresa, alla sua storia e filosofia di vita. Il concetto di rispetto, troppo spesso calpestato oggi, è un valore che invece dovrebbe essere prioritario nella società e nelle imprese moderne. Un valore fondamentale anche per poter distinguere fra reale e non reale e soprattutto uno dei primi ingredienti di una storia: rispetto per sé stessi,  rispetto per l'altro e rispetto nei confronti della trama. Corporate storytelling è anche questo, credo.
Un modo per riflettere e costruire un nuovo modo di comunicare all'interno delle imprese, delle istituzioni e della società. Voi che ne pensate? Lascio a voi la palla!

Ps. Per gli appassionati di Gaarder consiglio anche "Il mondo di Sofia" (per i filosofi) e "La ragazza delle arance" (per i più sentimentali). Good reading!


Nessun commento: